In Italia ci sono 3 milioni di persone che soffrono di un disagio psichico, di queste solo 800mila sono assistite dai servizi psichiatrici, mentre almeno 2 milioni di persone ne restano escluse (fonte Collegio nazionale dei direttori dei dipartimenti di salute mentale). I servizi psichiatrici nella maggioranza dei casi sono gestiti da cooperative sociali, una gestione che nella nostra regione si traduce con circa 70 imprese che hanno in carico circa 4000 persone tra residenze sanitarie, centri diurni socio-sanitari e di riabilitazione, servizi di socializzazione e domiciliarità (dati Unioncamere).
“Nella nostra unione territoriale contiamo 19 cooperative sociali attive nel settore della psichiatria e molte altre che se ne occupano con specifici progetti – afferma Mirca Renzetti, vicepresidente Confcooperative Romagna -. Si parla di imprese nate per rispondere al bisogno di mettere in pratica la legge 180/78, meglio conosciuta come Legge Basaglia. Imprese che hanno avuto un ruolo importantissimo nel percorso che ha portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici verso una nuova idea di psichiatria, lavorando di concerto con il Servizio Sanitario Nazionale per la realizzazione di progetti terapeutici individualizzati e flessibili”.
Cosa ha comportato la Legge Basaglia?
“Si tratta della prima e unica legge quadro che ha imposto la chiusura dei manicomi e regolamentato il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Il pensiero alla base di questa legge è che la vera cura non è nei manicomi, ma è a casa, nel luogo reale di vita. Dai 78 manicomi attivi nel 1978 si è passati a una rete di servizi complessa, composta da più di mille centri di salute mentale, oltre 660 centri diurni, più di 300 servizi in day hospital e altrettanti servizi psichiatrici di diagnosi e cura, più di 1500 strutture residenziali, nonché le cure a domicilio. I pazienti psichiatrici in carico sono passati dai 76mila chiusi nei manicomi agli oltre 800mila attuali”.
In questi 40 anni oltre ai servizi sono cambiate anche le tipologie di disturbi psichiatrici, come?
“I dati dicono che psicosi e disturbi d’ansia sono in aumento. In più le nostre cooperative ci segnalano un abbassamento dell’età delle persone che vengono inserite nei servizi psichiatrici. Davanti a questo fenomeno è necessario capire che la salute mentale non può restare la cenerentola degli investimenti. Servono nuove azioni, serve un nuovo modello”.
Quali sono le azioni per il futuro della psichiatria?
“Per potenziare il sistema ed evitare che diventi obsoleto, bisogna rafforzare i singoli territori dando impulso ai Dipartimenti di salute mentale, serve creare una cabina di regia regionale forte, che dialoghi con gli enti locali. Oggi più che mai si rivela necessario, direi obbligatorio, un lavoro di equipe e in rete, svolto dai diversi professionisti dei vari settori della salute mentale per assicurare una cura, una vera riabilitazione e un effettivo reinserimento sociale e lavorativo”.
Qual è il ruolo delle cooperative sociali?
“Oggi le cooperative sociali gestiscono la maggioranza delle residenze sanitarie e socio sanitarie. Inoltre si fanno carico di interventi di socializzazione e a domicilio attraverso la metodologia del budget di salute. Attraverso la cooperazione di tipo B inseriscono le persone nel mondo del lavoro. Attuano questi interventi con flessibilità organizzativa e metodologica, coinvolgendo la rete dei servizi territoriali, ricercando collaborazioni con le infrastrutture del territorio per dare attuazione a una psichiatria di comunità. Con il mutamento e la trasformazione dei bisogni, le cooperative sociali hanno avuto la capacità di adattarsi, garantendo elasticità e dinamicità nelle risposte alle differenziate necessità delle persone. Sono protagoniste indiscusse della rivoluzione del settore psichiatrico che c’è stata e del cambiamento che serve oggi”.